Teoria HAPV

Teoria HAPV

di Patrick McCarthy
traduzione di: Manuel Guarda
Questa traduzione è stata espressamente autorizzata dall’autore
(la riproduzione di questo testo è consentita solo con il consenso scritto dell’autore)

A volte non sai come adeguarti finché non scappi.

Da quando Okinawa rivendicò il suo legittimo retaggio come culla del karate – una dubbia questione sulla quale il Giappone accampava delle pretese – varie basi sulle quali esaminare il suo sfondo culturale e la sua mentalità hanno spalancato la porta a disquisizioni su convinzioni mai affrontate prima!

Mai prima d’ora è stata posta tanta enfasi sulle origini e sulle pratiche di applicazione dei kata. Da prima che tale movimento divenisse popolare, la IRKRS si è offerta ad un crescente numero di allievi come una valida risorsa attraverso la quale trovare nessi e spiegazioni più pragmatiche ad una tradizione altrimenti confusa.

Ciò che era iniziato come una ricerca personale per risolvere l’ambiguità nell’apprendimento delle applicazioni dei kata, è divenuto da allora un movimento di respiro globale che unisce persone che perseguono obiettivi comuni.

Nel 1985, dopo vent’anni di pratica, ero scoraggiato a causa degli esercizi incongrui. Non ero giunto ad essere irrispettoso verso il karate tradizionale, ma non potevo più sopportare le moderne interpretazioni dei kata!

Con questo pensiero iniziai a cercare un insegnante, uno stile, anche un’organizzazione che potesse indirizzarmi verso una pratica coerente, razionale e sistematizzata. Nello specifico, stavo cercando qualcuno che potesse:

  1. Usare atti reali di violenza fisica come contesto dal quale imparare, piuttosto che dallo scenario inadeguato del “pugno diretto” basato sulle regole delle “3K” che permea l’approccio tradizionale,
  2. Utilizzare pratici esercizi a due per ricreare quegli atti reali di violenza fisica che si possono incontrare negli scenari di combattimento a mani nude, e fornire modelli prestabiliti di difesa, portando come risultato una padronanza efficace della tecnica,
  3. Mostrare come i modelli prestabiliti (le sequenze di cui è costituito il kata) non sono solo il fine delle lezioni appena impartite, ma che se legati insieme formano chiaramente un totale ben maggiore della semplice somma delle singole parti (i kata), ed infine,
  4. Possedere l’abilità di dimostrare con chiarezza dove questi modelli prestabiliti (meccanismi mnemonici) esistono nei kata classici/ancestrali e come fossero collegati sia a generici che a specifici atti di violenza fisica.

Sebbene non mancassero eccellenti yudansha ovunque mi fossi spostato durante il mio decennio in Giappone, non vi trovai assolutamente alcuna traccia di tali insegnamenti, né ad Okinawa né altrove! Mi trovai quindi costretto a fare le mie deduzioni, che gradualmente risultarono nella creazione della teoria degli atti abituali di violenza fisica (Habitual Acts of Physical Violence – HAPV) e del concetto di esercizio a due, che portarono infine allo sviluppo del Koryu Uchinadi Kenpo-jutsu.

Più di un decennio fa presentai formalmente la mia ricerca sulla teoria HAPV e la corrispondente pratica degli esercizi a coppie. Tra il 1993 ed il 2005, diffusi la pratica sotto l’etichetta di “Tegumi renzoku-geiko” (esercizi continuativi corpo a corpo) attraverso circa 600 seminari in più di venti paesi attorno al globo. Questa presentazione informale serve a fornire uno sguardo all’interno di questo studio che precede la sua introduzione.

ALO
Durante gli anni in cui studiai la scherma (Tenshin Shoden Katori Shinto Ryu) al Sugino honbu dojo a Kawasaki (Giappone), sviluppai un enorme rispetto per come lo stile raggiungeva i propri esiti combattivi attraverso l’uso di esercizi altamente pratici di allenamento a coppie. Mentre indagavo sulle sue origini, maturai una grande ammirazione per come i classici scenari di attacco erano stati ben identificati e studiati prima di essere catalogati all’interno di modelli di apprendimento individuali e collettivi, ciascuno con risposte prestabilite e variazioni sul tema. Non essendo mai stato estremamente soddisfatto dall’incongrua pratica dell’ippon-kumite del karate ed incapace di comprendere “l’efficacia” difensiva del kata (come tradizionalmente insegnato contro lo scenario moderno del pugno diretto) o come i suoi meccanismi astratti di memorizzazione fossero metodicamente collegati a circostanze di combattimento reale; avevo sempre sentito che qualcosa mancava nel karate tradizionale e da questo accecante lampo di ovvietà (ALO) ho finalmente compreso che cos’era.

Stimolato da una tale esperienza iniziai a guardare dentro a quei classici atti di violenza fisica abitualmente usati da uomini contro altri uomini in situazioni di contrasto uno contro uno a mano nuda nei quali era comune imbattersi tra il XIX e gli inizi del XX secolo (il periodo durante il quale il karate si è sviluppato). Presi liberamente in prestito la mia esperienza nel ju-jutsu(1), le pratiche delle arti marziali cinesi e del sud-est asiatico(2), i temi astratti del Bubishi(3), e il contesto qui premesso usato nel Katori Shinto Ryu(4) e le confrontai infine con le classiche situazioni di offesa a mano nuda dello Shaolin(5). Per allargare la mia analisi, esplorai inoltre le tattiche difensive degli stili di ju-jutsu rintracciabili al volgere del secolo(6) e manuali medievali sul combattimento a mano nuda(7). Il mio insegnante di karate, Hanshi Kinjo Hiroshi ed il pioniere della lotta di sottomissione (UWFI) Takada Nobuhiko, furono altre due importanti guide lungo il mio periodo di studio. Sensei Kinjo è semplicemente un’enciclopedia ambulante, un vero e proprio tesoro vivente di conoscenza, ed il nesso tra il mondo del karate antico ed il moderno. Tra le molte valide lezioni che ho imparato da Takada Nobuhiko, ci sono le sue tecniche pratiche di lotta ed il modo unico in cui queste potevano unirsi tra di loro attraverso esercizi mnemonici individuali, sull’esempio del concetto originario di kata. Durante il mio studio ho gradualmente modificato le classiche situazioni di attacco a mano nuda(8), per meglio esemplificare quegli atti abituali di violenza fisica riscontrabili nell’odierna società occidentale, e consolidato la pratica attraverso molte variazioni su questi temi comuni. Ho poi diviso le situazioni d’attacco in tre categorie per facilitare il riferimento e lo studio:

#1. Prese
#2. Colpi
#3. Una combinazione di #1 e #2 usati insieme

Il corpo umano
Durante tutto questo processo, ciò che è sempre rimasto costante è stato il corpo umano (un altro ALO). Così semplice ed ancora così apparentemente sconosciuto, o forse dovrei dire così poco studiato! Dato che il corpo umano è il soggetto principale della violenza fisica a mano nuda, e siccome la misura, la forza e come essa viene applicata, sono fattori così determinanti, era perfettamente sensato cercare di capire meglio le sue strutture anatomiche e funzionali, al fine di poter comprendere pienamente come usarlo al meglio e come quegli schemi difensivi meglio agissero contro di esso. Fino a quel momento avevo sempre fatto affidamento sulla mia prestanza fisica, come atleta agonista, per ottenere la vittoria. Nel concludere il mio studio, compresi che è sempre il corpo umano, con la sua struttura unica e le comuni debolezze anatomiche che alla fine determinano come l’energia cinetica (prese/colpi) impedisce la funzionalità motoria; obiettivo finale dell’autodifesa.
Armato di questa consapevolezza, volsi la mia attenzione verso “l’ingegneria a rovescio” dei classici temi difensivi all’interno dei modelli mnemonici dei kata.

Meccaniche comuni
Confrontandole con metodi di reazione più tradizionali trovati altrove, attinsi in larga misura a quei principi immutabili che sostengono le meccaniche comuni, ed ho usato le cinque Macchine Antiche(9) a fianco di una semplice regola in cinque parti(10), per sfruttare strutture anatomiche vulnerabili, rese disponibili dall’opportunità o da una precisa intenzione creata reagendo ad un HAPV. Le categorie di reazione includevano: impatto percussivo, trattenuta e pressione su incavi non protetti dalla struttura scheletrica, l’attacco di sporgenze ossee (il periostio), strutture neurologiche e tessuto connettivo, la iperestensione/flessione e la extra-rotazione delle articolazioni, la costrizione del flusso sanguigno e delle vie respiratorie, la rottura dell’equilibrio e le tattiche comuni nella lotta.

Ingegneria inversa
Gli scenari di attacco realistico offrirono un’opportunità pratica per ricreare e studiare ogni situazione concepibile di violenza fisica all’interno di un ambiente di apprendimento sicuro. L’analisi (bunkai-jutsu) di ogni HAPV pose le basi per comprendere le loro meccaniche e dinamiche, le loro debolezze e i loro punti di forza. Quanto più mi immergevo in questa esperienza, tanto più mi chiedevo come, senza questa metodica, i primi pionieri avessero potuto sviluppare strategie tattiche funzionali da usare contro di esse. Nello stesso formato classico usato nel Katori Shinto Ryu, portai alla luce queste pratiche applicative (oyo-waza) attraverso gli esercizi a coppie. Ogni HAPV era riprodotto da uke (aggressore) mentre tori (ricevente) metteva
in pratica la reazione difensiva prestabilita. A mano a mano che gli allievi acquisivano familiarità e competenza ad ogni esercizio, li incoraggiai ad aumentare forza, potenza e resistenza (gradualmente od esponenzialmente, unicamente secondo la prestanza fisica e la propensione di ognuno), per riprodurre la tenacia di un aggressore non collaborativo, così da poter ottenere due risultati:

  1. Rendere la situazione d’attacco il più realistica possibile.
  2. Sviluppare una grande abilità pratica per ogni allievo.

Separando in parti uguali gli esercizi a coppie (#1. La parte del HAPV e #2. La reazione difensiva prestabilita) fui in grado di ritualizzare ogni parte della pratica (l’attacco e la relativa reazione) all’interno di sequenze mnemoniche(11). Proprio in questo giace l’importanza dell’ingegneria inversa – ritualizzare ogni simulazione individuale produceva moduli di memorizzazione che, considerando la mentalità orientale del XIX secolo, apparivano virtualmente identici ai singoli componenti dei kata. Storicamente parlando, io credo che i kata siano stati originariamente ideati partendo proprio da questi modelli individuali ed espressi usando l’ideogramma: 型 (modello) – pronunciato Xing in cinese e kata in giapponese.
Sistemando le risposte prestabilite contro gli HAPV all’interno di configurazioni geometriche uniche, espresse con l’ideogramma: 形 (forma) – ugualmente pronunciato Xing in cinese e kata in giapponese – compresi che i primi pionieri del quanfa riuscirono a sviluppare qualcosa di più grande della somma delle sue singole parti…il kata. Gli allievi poterono così non solo entrare in contatto con gli HAPV ed apprenderne le pratiche reazioni difensive prestabilite, ma poterono anche aumentare le loro abilità fisiche, la concentrazione mentale e la loro condizione olistica, rafforzando quindi il processo complessivo di apprendimento. Nello sforzo di stabilire e standardizzare il curriculum fondamentale di queste prime scuole di quanfa, i pionieri uniformarono dei moduli di risposta prestabiliti 型 in forme geometriche creative 形 creando i kata/xing.

Raggiungere l’inizio
In mancanza di altre interpretazioni pragmatiche dell’evoluzione dei kata e delle loro premesse applicative pratiche, credo che questa razionalizzazione non solo offra una solida prova, ma suggerisca anche che i kata non fossero stati originariamente concepiti per impartire la lezione, ma piuttosto per coniugare tutto quello che era già stato insegnato e non solo come una creativa dimostrazione di prestanza fisica. Tutto questo credo cambiò, e piuttosto radicalmente, quando l’attenzione al kata si spostò dal classico approccio uno contro uno o in piccoli gruppi, verso gli esercizi per enormi gruppi di studenti nei cortili delle scuole di tutta Okinawa al volgere del secolo. In quel momento i kata vennero semplificati, e diventarono il veicolo principale per promuovere forma fisica e conformità sociale nel sistema scolastico di Okinawa, in supporto al militarismo giapponese nel suo periodo di nazionalismo. Il modo in cui il
kata è appreso nel karate moderno/tradizionale si rifà a questo crocevia, un momento in cui la pratica si evolse da arte di autodifesa verso una forma di calistenia. Attraverso il sistema senpai-kohai e la carenza pensiero critico, l’attitudine imitativa e gli effetti consecutivi, il kata è stato trasmesso come il grande enigma del karatedo.

Sfidando mito e tradizione, ho usato l’eclettismo ed il pensiero critico come strumenti immutabili per decifrare l’antico mistero del kata. Nel fare ciò fui capace di spingere la mia comprensione del kata oltre il punto in cui le fonti classiche potevano arrivare. Sono onorato di essere in prima linea in questo movimento e grato a tutti coloro che hanno sostenuto questo sforzo.

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NOTE

(1) Citando il professore Wally Jay come mio principale istruttore, ma non dimenticando l’importanza del mio allenamento con Richard Kim (Daito Ryu Aiki-jujutsu), Ron Forrester (padre del movimento canadese di Ju-jutsu), Sugino Yoshio (Tenshin Shoden Katori Shinto Ryu Heiho-jutsu) ed un manipolo di altri magnifici insegnanti di Ju-jutsu con i quali ho avuto il piacere di allenarmi durante gli anni.
(2) Esercizi di mano a coppie da Silat, Arnis, Wing Chun e Taiji.
(3) La sezione riguardante i 48 schemi di autodifesa e la sezione su schivate e lotta.
(4) Il Katori Shinto Ryu pone grande enfasi sul padroneggiare l’uso delle sue tecniche attraverso esercizi a coppie dove tori riproduce le classiche situazioni di attacco ed uke ricrea il classico schema di difesa.
(5) In una intervista personale del 1992 con Liang Yiquan (n.1931, Dengfeng) della Historical Research Society al tempio Shaolin, sono venuto a conoscenza dei 36 attacchi classici di violenza fisica a mani nude e delle varianti su questi temi.
(6) “Jiu-Jitsu Tricks,” di K. Saito, editore Richard K. Fox NYC 1905, la pubblicazione del 1995 di Irving Hancock (1905) intitolata “The Complete Kano Jiu-Jitsu”, “The Text Book of Ju Jutsu” (come praticato in giappone) di S.K. Uyenishi, “Jiu Jitsu Combat Tricks” di H. Irving Hancock, “The Complete Kano Jiu-Jitsu” di H. Irving Hancock e Katsukuma Higashi 1995, “Ju-Jitsu” (Exposure of all Methods of Self-Defence) di Higami Kasatu, Briton Publications, Sydney Australia, “The Secrets of Jujitsu “(7 Volumi) 1918-19 Captain Allan Corstorphin, Stahara Pub Co., “Combat Jiu-Jitsu” di S.R. Linck, editore Stevens-Ness Law Publishing Co. Portland, OR 1943, e “Savate” di Joseph Charlemont, 1920, ecc.
(7) Le fonti includevano, “Flehtbuch” di Talhoffer 1443, “Ringbuch” di Hans Wurm c. 1507, Vollstandiges Ring-Buch 1659, “Clear Instructions to the Art of Wrestling” di Nicolaes Petter 1674, “The Science of Self Defence” (A Treatise on Sparring and Wrestling) di Edmund Price 1867, “Science of Boxing” del prof. Mike Donovan 1893, The “New Art of Self-Defence,” di E.W. Barton-Wright (copia dell’articolo del 1901 del Pearson Magazine).
(8) 1. Calci diretti
2. Calci angolati
3. Pugni diretti
4. Pugni circolari
5. Colpi verso il basso
6. Colpi verso l’alto
7. Colpi di gomito e di ginocchio
8. Testate, morsi e sputi
9. Stretta ai testicoli
10. Aumentata frequenza di sgambetti su gamba o piede
11. Presa per i capelli a una o due mani da davanti o da dietro
12. Strangolamento a una o due mani da davanti o da dietro
13. Strangolamento frontale da dietro
14. Stretta alla testa classica
15. Strangolamento aumentato frontale in posizione chinata (presa al collo)
16. Nelson mezzo/intero
17. Bear hug da dietro sopra le braccia (e variante laterale)
18. Bear hug da dietro sotto le braccia (e variante laterale)
19. Bear hug da davanti sopra le braccia (e variante laterale)
20. Bear hug da davanti sotto le braccia (e variante laterale)
21. Placcaggio da davanti e da dietro
22. Presa al polso ad una mano (lato uguale/opposto, normale/invertito)
23. Presa al polso a due mani (normale/invertito)
24. Ambo i polsi afferrati da davanti/dietro
25. Ambo le braccia afferrate da davanti/dietro
26. Una o ambo le spalle afferrate da davanti/dietro
27. Braccio bloccato (dietro la schiena)
28. Leva articolare frontale al braccio (fulcro verso l’alto sostenuto dal polso sul tendine del tricipite)
29. Leva articolare laterale al braccio (fulcro verso il basso sostenuto dal polso sul tendine del tricipite)
30. Presa per il bavero a una o due mani
31. Spinta a una o due mani
32. Vestiti tirati sopra la testa
33. Presa e impatto
34. Presa singola o doppia alla gamba/caviglia da davanti/lato/dietro
35. A cavalcioni per terra
36. Attacco (pugno/calcio) mentre a terra
(9) Le tecniche applicative che trattano strangolamento, iperestensione/flessione e l’extra-rotazione delle articolazioni, la rottura dell’equilibrio e la lotta possono essere spiegate attraverso le 5 macchine antiche: la leva (3 categorie), il cuneo, la puleggia, la vite e la ruota ad asse fisso. Le tecniche di impatto percussivo si spiegano attraverso il tempo, la distanza ed il trasferimento di energia cinetica.
(10) 1. Bersaglio (la precisa struttura anatomica da attaccare)
2. Strumento (con quale parte del corpo attaccare [pugno, piede, gomito, ginocchio, punte delle dita ecc.])
3. Angolo (con il quale trasferire l’energia)
4. Direzione (con la quale trasferire l’energia: p.es. da dietro a davanti, perpendicolare alla zona, ecc.)
5. Intensità (la quantità di energia necessaria per ottenere il risultato voluto)
(11) Un meccanismo usato per aiutare la memoria.

 


Copyright © Patrick McCarthy
traduzione di: Manuel Guarda
Questa traduzione è stata espressamente autorizzata dall’autore
(la riproduzione di questo testo è consentita solo con il consenso scritto dell’autore)

 

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